Esiste un luogo, nel nord del Kenya, al di fuori dagli itinerari battuti dai safari, rimasto ancora selvaggio dove il tempo ha smesso di scorrere: il lago Turkana, chiamato anche mare di giada per le sue acque di colore verde. Noto anche per l’alta concentrazione di coccodrilli, il lago occupa la fossa tettonica della Rift Valley,
profonda faglia che attraversa il territorio keniota da nord a sud. In questa area è stato scoperto il cranio fossile dell’homo erectus datato oltre 2 milioni e mezzo di anni. Intorno al lago, l’ambiente di rocce vulcaniche, arido, semidesertico, ospita numerose tribù; i Turkana da cui il lago prende il nome, ma anche i Samburu e i Rendille, El molo .
Popoli di pastori nomadi che in un così ostile luogo traggono dall’allevamento degli animali l’unico sostentamento. Ma con i cambiamenti climatici che rendono queste zone ancor più inospitali, reperire nuovi pascoli è diventato sempre più difficile mettendo a dura prova la loro sopravvivenza. I Samburu sono per similitudini somatiche e usanze, parenti dei Masai con cui condividono anche la lingua. Il loro nome deriva dalla parola “sambur” che indica una borsa di pelle che portano sempre con sé. In genere allevano zebù, pecore e capre, a differenza dei Rendille, che concentrati in un arido altipiano vulcanico ad est del lago Turkana, si sono organizzati intorno all’allevamento del cammello.
I Turkana, dall’indole aggressiva sono riusciti grazie a ciò a mantenere il più alto numero di individui, a differenza delle altre tribù sull’orlo dell’estinzione. I loro riti ancestrali, la ricchezza degli ornamenti, la varietà di colori che da secoli contraddistinguono un gruppo etnico dall’altro, i loro villaggi fatti di cupole di paglia sparsi in questa sconosciuta parte di terra al confine con l’Etiopia, sono forse è l’ultima finestra sul passato che sta inesorabilmente per chiudersi. Clelia Nocchi