Herero – Namibia

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Gli Herero sono una tribù dedita all’allevamento di bestiame e appartengono alla grande famiglia linguistica bantu.  Vivono per lo più nel  nord della Namibia, dove  vi si  sono stanziati dal secolo scorso.  Per chi intraprenderà  un viaggio da queste parti, non potrà fare a meno di notare lo stravagante modo di vestire delle loro  donne, riccamente  abbigliate con un vistoso abito colorato.

Lunghe gonne fino ai piedi, gonfiate da numerosi strati di sottogonne. Bluse strette accollate con maniche a sbuffo e per finire il caratteristico cappello  che ricorda  le  corna di vacca. Un vestiario che ci riporta  alla moda vittoriana che nell’ottocento si sfoggiava  in Europa. Strano vero? Non è proprio un abbigliamento comodo per il contesto namibiano. L’estrosa e inadatta “mise” è frutto della colonizzazione  e della “civilizzazione” forzata da parte degli occidentali.  La  moglie di un missionario protestante tedesco, rimase inorridita, al suo arrivo nel 1873 in queste lande alla vista delle donne dal vestiario ridottissimo e  si preoccupò di “coprirne le scandalose nudità” con tal costume . Ma questo è solo il prologo di un libro di storia, le cui pagine sono sporche di sangue.  Intorno alla metà del 1800,  l’Africa fu  terra di spartizioni.

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Alla divisione del continente nero parteciparono chi più chi meno tutti gli stati europei, attuando un ‘espansione coloniale in nome di una superiorità di razza, accaparrandosi tutte le ricchezze possibili, perpetrando massacri in grande stile. Ritenevano, le popolazioni locali selvagge , primitive, restie al progresso, “senza diritto di esistere” a cui era d’obbligo  inculcare la civiltà. L’espansione coloniale e lo sfruttamento ebbero conseguenze devastanti per i popoli che li subirono, con segni ancora oggi leggibili. In quella che fu chiamata “corsa all’Africa” la Germania arrivò in ritardo, intorno al 1883. I coloni tedeschi giunsero con  l’intento di impiantare allevamenti intensivi e chiaramente non c’era posto per gli abitanti autoctoni.  Espropriarono  tutto; terra, bestiame e ogni risorsa, che nel luogo si trovava, in special modo  diamanti. Gli Herero, da uomini liberi e fieri, divennero schiavi nelle fattorie dei bianchi, utilizzati come manovalanza nelle miniere, con condizioni disumane.

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Le parole “Soluzione Finale”, che purtroppo  conosciamo bene per averle sentite tante volte inerenti al genocidio ebreo, non furono coniate in quel momento storico bensì in piena Africa e riferite questa volta al popolo Herero. Così  brutalizzati e schiavizzati  gli Herero e i Nama, che fino ad  allora erano  nemici giurati, si unirono contro l’intollerabile supremazia tedesca più di una volta.  A seguito poi della conquista  da parte dei “nuovi padroni”, di OKAHANDJA e della distruzione  dei luoghi a loro  sacri, scoppiò ancora  una violenta insurrezione contro gli oppressori. Facendo però, in questa occasione, il grande errore di non unirsi con i Nama.  Gli Herero, riuscirono ad avere la meglio e si  resero disponibili ad un accordo. Ma i tedeschi non cercavano nessun tipo di patto volevano solo annientarli.   Meglio armati e organizzati al comando  di Lothar Von Trotha , diedero il colpo finale e vinsero la battaglia del 11-12 agosto del  1904 a Waterberg.  Si calcola che oltre l’80% della popolazione fu eliminata in soli tre mesi, tra l’agosto e l’ottobre di quell’anno. Nel 1905, degli 80.000 Herero erano rimasti in 12.000.  Nel 1907 toccò ai Nama, anche loro decimati e ridotti  in schiavitù a seguito della loro rivolta. La prima forma di “eliminazione di massa” debuttò tra il 1884 e il 1908 quando si diede avvio alla creazione di campi di concentramento, che vennero chiamati Kz.  Gli Herero che varcarono quella terribile soglia furono marchiati con la sigla GH “Herero prigioniero”.  Tristemente famoso quello di Shark Island, nei pressi di Luderitz.  I sopravvissuti al conflitto vennero rinchiusi e sottoposti ai lavori forzati.  Non mancarono neppure i mostruosi esperimenti medici sulla razza,  condotti qui dallo scienziato Eugen Ficher e Theodor Mollison.

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Gli esperimenti comprendevano: sterilizzazione delle donne, inoculazione dei germi del vaiolo, del tifo e della tubercolosi. L’antropologo Ficher, quando  ritornò  in patria , grazie ai suoi studi  diventò magnifico rettore dell’università di Berlino, insignito personalmente da Hitler.  Nel 1943 lasciò l’università e  passò tutto il suo lavoro ad uno dei suoi studenti “modello”.  Un nome che tutti ricorderemo  per sempre,  Josef Mengele, detto anche  l’angelo della morte o l’angelo bianco, uno dei “macellai” più spietati di Auschwitz.  Molti teschi vennero spediti in Germania per continuare gli studi di eugenetica. In occasione del centenario della guerra nel 2004, ci sono state da parte del governo tedesco le prime ammissioni di colpevolezza ma agli Herero non è bastato. Hanno chiesto 4 miliardi  di dollari come risarcimento e la restituzione dei  crani  dei loro avi  ancora custoditi in Germania.

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La Germania ha compensato il risarcimento richiesto, a suo dire,  con aiuti finanziari, per il resto nessun accenno.  Nonostante tutto, con grande coraggio  e fatica questa popolazione duramente colpita si è rialzata ed è riuscita a conservare la loro cultura.  Si dice che la “storia insegna”, non dimenticare  dovrebbe servire a non ripetere gli stessi errori e gli stessi orrori.  Sembra invece che in questo caso il genocidio Herero, il primo del XX secolo, fu il palcoscenico dove si fecero le prove generali di strategie messe successivamente in atto poi nella shoah.        Clelia Nocchi

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