“La 66, lungo sentiero d’asfalto che attraversa la nazione, serpeggiando dolcemente su e giù per la carta, dal Mississippi a Bakersfield, attraverso le terre rosse e le terre grigie, inerpicandosi su per le montagne, superando valichi e planando nel deserto terribile e luminoso, e dopo il deserto di nuovo sulle montagne fino alle ricche valli della California. “La 66 è la strada madre, la strada della fuga” …..le parole di Steinbeck, nel bestseller Furore…
Nelle sue pagine uno dei periodi storici più duri degli Stati Uniti. E’ diventata leggenda, ora, quella strada da lui battezzata la “Mother Road”, il paese è cambiato ma come dimenticare che la sixty-six ha accompagnato e accolto tra le sue braccia migliaia di americani? Gente che fuggiva dalla miseria, “California or dust” dicevano. Rincorrevano un sogno, il Golden State… “terra fertile terra per lavorare, ma quella terra non la puoi coltivare, appartiene alla Land Cattle Company
….. metti che vai lì e pianti un po’ di mais ti sbattono in prigione! Terra buona dici? E nessuno la coltiva? ….sanno che lasciare quella terra incolta è una bestemmia, e che qualcuno finirà per pigliarsela. Perdio e ancora non v’hanno chiamato Okie! Okie che roba è? Prima voleva dire che venivi dall’Oklahoma, ora vuol dire che sei un lurido figlio di puttana, che sei lo schifo dell’umanità” ….scriveva ancora Steinbeck. Inaugurata l’11 novembre 1926, prende avvio in Illinois a Chicago e attraversa Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, New Mexico, Arizona e finisce in California, a Los Angeles. Otto Stati, quasi 4000 km e tre fusi orari.
Nel 1928, l’associazione creata l’anno prima per la promozione dell’highway, organizzò una grande gara podistica per far conoscere la nuova nata, il traffico andò in continuo crescendo. Grazie anche al suo percorso che si snodava in gran parte in pianura fu calcata anche da mezzi pesanti. Negli anni trenta, tra il 1931 e il 1939, gli Stati Uniti centrali e il Canada furono devastati da un disastro ecologico di portata epocale, conosciuto come Dust Bowl.
Gigantesche nuvole di polvere formatesi in seguito a decenni di agricoltura intensiva e scriteriata e a particolari condizioni atmosferiche; prolungata siccità e forti venti, lasciarono mezzo milione di americani senza casa e senza lavoro. Fu allora che la “66” venne percorsa dai tanti migranti che si spostavano verso la California in cerca di una vita migliore.
Durante la grande depressione, come una madre, la Sixty-six diede un minimo di sostentamento a coloro che riuscirono ad aprire piccole imprese familiari; gommisti, meccanici, ristorantini, motel, stazioni di servizio, conosciuti con il nomignolo “mom-and-pop”. In seguito, durante la guerra, venne sfruttata per il passaggio di materiale bellico e militari e poi negli anni ‘50 fu preferita da una folla di gente che andava in vacanza. La Strada Madre era lì, protagonista e testimone di un popolo in cammino, di tempi che cambiavano, fino a quando nel 1956 iniziò il suo decadimento. Il lungo nastro d’asfalto lentamente fu rimpiazzato, non senza contestazioni, da più moderne statali, fino all’abbandono nel 1985.
Su quella diagonale che univa la città di Al Capone alla Città degli Angeli, teatro di tante vicende del popolo a stelle e strisce, calava il sipario. Le scintillanti Corvette e le eleganti Cadillac, di attori e banditi, correvano su altre corsie, i colorati neon dei motel si spensero, le pompe di benzina chiusero, insieme ai caffè e ai ristoranti per mancanza di avventori. Tutto finito? Nel 1990 alcune associazioni, la prima nacque nel Missouri, si adoperarono per rilanciare la “66” sotto un’altra veste. Il passato poteva essere recuperato e rivalorizzato. Il libro della memoria doveva essere sfogliato, bastava cambiare la copertina. Nacque la Historic Route 66.
I mom-and-pop restaurati, e alcuni riaperti e funzionanti, gli altri trasformati in attrazioni capaci di stupire e sorprendere. Musei che narrano il tempo che fu, i vecchi bordelli riconvertiti in eleganti pub, negozietti di antichità dove trovare cose incredibili. Ogni paese e città lungo il suo tragitto offre qualcosa da vedere e fotografare. Bellissimi dipinti coprono le pareti degli edifici, vere e proprie opere d’arte. Enormi pupazzi pubblicitari sono diventati icone da immortalare, le Cadillac trasformate in una scultura monumentale, progettata da un trio di artisti.
Jessy James ti fa scoprire il suo nascondiglio, Bonnie e Clyde le loro rocambolesche avventure. Clarke Gable e Clint Eastwood ti “aprono” la loro camera d’hotel e volendo puoi dormire nel loro letto e il presidente Lincoln ti fa fare un giro nella sua casa. La Route è come una mappa per la caccia al tesoro, anzi dei tesori, visto che sono davvero tante le cose da vedere. Chi la percorre deve farlo avendo tempo, e se ne ha poco poi è costretto a tornare. Se non hai visto tutto ti senti un’anima sospesa e devi assolutamente colmare il vuoto.
Ha questo potere la 66, ti vuole con sè, ti vuole insegnare un altro modo di viaggiare, è per questo che c’è, ti racconta storia e storie, storie di persone e di personaggi. Non bisogna inseguire la mèta ma assaporare l’andare ……… “Get your kicks on Route sixty-six” cantava Nat King Cole! Clelia Nocchi
Itinerario dettagliato del viaggio su YouPosition https://www.youposition.it/mappaviaggio.aspx?id=6418