Salar de Uyuni – Bolivia

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Davanti a me, il candore abbagliante della distesa salina più grande del mondo, il Salar de Uyuni. Più di dodicimila chilometri quadrati ad una altezza di 3653 metri che contrastano con il cielo azzurro è la traduzione di un sogno. La sua formazione risale a migliaia di anni fa, risultato di prosciugamenti di laghi e di minerali filtrati dalle montagne, un processo lungo e complesso che ha creato una meraviglia.

Nella stagione secca è simile ad una distesa di ghiaccio senza fine mentre quando arrivano le piogge, da dicembre a marzo, diventa uno specchio d’acqua con effetti ottici spettacolari. Il sole e il vento che fanno evaporare rapidamente l’acqua, rendono praticabili alcune zone anche in questo periodo, ma altre rimangono comunque pericolose.

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Terribili sono “l’ojos de sal” con un diametro anche di dieci metri, alimentati da sorgenti sotterranee; sono trappole temibili per i fuoristrada che attraversano il Salar. Un’area di una bellezza impareggiabile ma anche una risorsa, non solo turistica ma anche economica, per il paese, con i suoi dieci miliardi di tonnellate di sale. Nei dintorni del villaggio di Colchani i campesinos estraggono ancora con piccone e pala i blocchi di sale e raschiano la superficie raccogliendo il “flor de sal” che poi essiccato e addizionato di iodio viene impacchettato e messo in vendita sul mercato locale.

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Singolari e caratteristiche sono le eleganti strutture ricettive edificate interamente con “mattoni di sale”, compresi gli arredi, letti, tavoli e sedie, dove non si può non soggiornare anche solo per una notte. Il cuore della candida distesa è l’Isla Inkahuasi, la casa degli Inca, dove si fermavano negli spostamenti verso sud, una delle trentadue isole disabitate che lo punteggiano.

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L’isola è una formazione rocciosa, ricoperta da enormi cactus colonnari, Trichocereus Pasacana, che possono superare anche i dieci metri di altezza ed hanno una crescita molta lenta, alcuni esemplari raggiungono i duecento anni di età. La propagazione per impollinazione di questa cactacea è affidata al colibrì della Patagonia che visita l’isola durante la bella fioritura tra gennaio e febbraio. Spaziare con lo sguardo dal punto più alto della collina è una visione onirica, come diceva la poetessa statunitense Maya Angelou “La vita non si misura attraverso il numero di respiri che facciamo, ma attraverso i momenti che ci lasciano senza respiro” e questo sicuramente è uno di quei momenti.

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Ma questo deserto scenografico per la Bolivia, che è una delle nazioni più povere del Sud America, è come avere in casa una cassaforte che custodisce un tesoro molto prezioso. E il nome del tesoro è  “litio”, un enorme giacimento, “il petrolio del XXI secolo”. La Bolivia dunque insieme all’Argentina e al Cile, compongono il “Triangolo dell’oro bianco del futuro”, e sono i possessori dell’85% delle riserve mondiali. Gli esperti ritengono che la Bolivia, da sola, ne detenga ben il 50%. Il leggerissimo metallo alcalino, grazie alla sua elevata capacità di condurre il calore ed al suo alto potenziale di elettrodo, è infatti sempre più utilizzato nella produzione di svariati prodotti, di batterie per cellulari, computer e ultimamente, per auto elettriche.

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Ma come tutte le risorse bisogna avere le tecnologie per lo sfruttamento e in questo la Bolivia è il fanalino di coda del Triangolo. Penalizzata com’è sul versante ambientale con  forti e prolungate piogge, mancanza di sbocchi sul mare e non ultimo i cattivi rapporti con il Cile, al quale potrebbe appoggiarsi per sfruttare il vicino porto di Antofagasta. Il metallo inoltre è altamente infiammabile e leggermente esplosivo a contatto con l’acqua e l’estrazione su scala industriale è operazione non facile. Per ora il paese ne riesce ad utilizzare solo un’irrisoria parte anche se le ambizioni del Ministero delle Miniere, che non  si accontenterebbe  di diventare “l’Arabia Saudita del Litio” cioè solo estrattori  ma vorrebbe anche essere il costruttore dei prodotti finali.

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Le buone intenzioni ci sono. Gli investimenti e la ricerca tecnologica e tutti i progetti di sviluppo sono terribilmente in ritardo sulla tabella di marcia prefissata. Nel frattempo, tra i tanti visitatori attratti dalla magnificenza del luogo, c’è la presenza di persone con ben altri interessi, sono ingegneri e uomini d’affari spediti lì da grandi e importanti compagnie minerarie e chimiche del mondo.

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E mentre noi rimaniamo basiti di fronte a questa perla del creato, c’è invece chi sta soppesando quanto vale in dollari. Ma quanto costa il Litio?  Difficile dirlo visto che dipende dalla qualità e l’elemento non è ancora quotato in nessuna borsa, comunque si aggirerebbe dai 5.000 ai 20.000 dollari a tonnellata, vogliamo fare due conticini?      Clelia Nocchi

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