Nell’estremo nord-est dell’India, il piccolo stato dell’Aranuchal Pradesh, chiuso tra la Cina, il Myanmar, gli Stati federati dell’Assam, Nagaland e il Regno del Bhutan è uno dei “Seven Sister State”. Denominati i paradisi inesplorati sono collegati al resto del paese da un lungo e stretto corridoio chiamato il “corridoio Siliguri”.
Poco meno di 85.000 kmq di territorio montuoso attraversato dal fiume Bramaputra, ancora oggi è rivendicato e causa di profonde dispute con la Cina, la quale non ha mai riconosciuto il confine con l’India, la cosiddetta “linea MacMahon” tracciata tra il 1913 e il 1914 dal diplomatico britannico Henry MacMahon. “La terra delle montagne illuminate dal sole”, così è in sanscrito il significato di Aranuchal grazie alla sua posizione e morfologia è rimasto abitato da popolazioni tribali custodi di antiche usanze e tradizioni.
La loro sussistenza è legata alla pescicoltura e all’agricoltura in prevalenza con la coltivazione del riso che ha disegnato il paesaggio alternandosi a rigogliose foreste e boschetti di bambù. Tra le tante minoranze etniche presenti nel paese, la tribù degli Apatani è quella che più colpisce per le sue pratiche estetiche eseguite in passato atte a modificare il volto delle donne. Sono proprio le donne, ora solo quelle anziane perchè l’usanza è stata vietata dal 1970, che mostrano due piccoli piattelli circolari in bambù di colore scuro inseriti nelle parti laterali del naso che alterano le caratteristiche del volto, linee tatuate sul mento e sulla fronte completano la deformazione dell’immagine.
Sembrerebbe che sia stato proprio il peggioramento dei tratti somatici il vero motivo di questa usanza. La leggenda racconta che durante le lotte e le relative incursioni nei villaggi delle tribù vicine, le donne Apatani venivano rapite a causa della loro bellezza. Per cercare di scoraggiare i rapitori gli anziani pensarono di imbruttire i bei volti delle ragazze. Anche se la leggenda giunta ai giorni nostri, solo oralmente non avendo nessun supporto scritto così come d’altronde la storia della tribù stessa, può trovare un certo fondamento facendo dei raffronti con le tribù africane che usavano durante il periodo della schiavitù pratiche estetiche estreme per sfuggire alla cattura e alla conseguente deportazione.
La comunità degli Apatani abita nell’amena valle Ziro la quale si raggiunge inerpicandosi su strade dissestate e tortuose e lunghe ore in auto. Le loro case completamente costruite in bambù hanno una struttura a palafitta, per proteggersi sia dagli animali ma anche per rimanere all’asciutto durante le piogge. La loro confessione religiosa di radice animistica è legata alla Luna, chiamata Polo e al Sole, chiamato Donyi, ed è la natura con le sue stagioni a regolare la loro semplice vita quotidiana.
Visitare i loro villaggi è entrare in una dimensione magica, cellulari, auto e moto ci dicono che i tempi anche qui stanno cambiando, ma nelle stradine il respiro delle radici storiche si sente ancora. S’incontrano gli abitanti con le tipiche gerle e con lunghi coltelli da lavoro, davanti alle case si possono osservare i simboli di riti sciamanici eretti in bambù con piume e uova a protezione della famiglia e nel piccolo tempietto al centro del villaggio i resti di sacrifici animali.
Una comunità accogliente e disponibile agli incontri ma proprio per questo è bene rivolgersi ad una guida locale che ci possa spiegare come interagire con loro nel modo più giusto affinchè l’approccio sia uno scambio di informazioni e di curiosità nella piena reciprocità, consapevoli del grande arricchimento umano che ne riceveremo.
Clelia Nocchi