Coober Pedy – Australia

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La mia meta? Il celeberrimo Red Centre Australiano.  Ma prima, sosta imperdibile a Coober Pedy. Per raggiungere la cittadina via terra si può salire a bordo del lussuoso treno Ghan, lungo quasi un chilometro, che copre la distanza tra Darwin e Adelaide nell’arco di quattro giorni, facendo tappa a Katherine, Alice Springs e Coober Pedy. Oppure, opzione da me scelta, la mitica Stuart Highway denominata the “explorer highway” o anche amichevolmente dai locali “the track”, quella che da sud a nord taglia in due l’Australia..

Una delle strade più famose al mondo che regala un vero viaggio esperienziale. L’attraversare il cuore della più grande isola del pianeta, penetrare in un territorio aspro e selvaggio dai colori desertici dove le tracce umane sono lievi e sporadiche è vivere l’anima selvaggia del paese. Colui che diede il nome all’Highway fu lo scozzese John McDouall Stuart, nel 1862, percorse quella che a quei tempi era una pista partendo da Port Augusta e raggiunse il fiume Katherine nell’estremo nord, 2415 km.

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Una distanza importante anche fatta a bordo di un’auto, ma Stuart consegnò la sua impresa alla storia dell’esplorazione perchè è a piedi che la percorse. Una spedizione incredibile, nove mesi in andata e altri cinque di ritorno. Nel momento della costruzione dell’autostrada il percorso poi non venne rispettato nella totalità specialmente nella parte meridionale. Ma il fascino è immutato.  Oggi collega con i suoi 2834 km.  Adelaide a Darwin. Si è ben consapevoli che si inizia con essa un’avventura e bisogna considerare che ci si trova a guidare per lunghi tratti senza incontrare anima viva.

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Per cui è bene equipaggiarsi a dovere. Le zone desolate e desertiche che la circondano che vanno sotto il nome di Outback,  una vasta area dai confini non ben definiti e come dicono gli australiani anche inutile definirli. Anche a loro sfugge per cui la grandezza e in alcuni casi, come testimoniano alcuni incidenti anche la pericolosità. Ignara delle problematiche, la lunga strada scorre diritta sotto i cieli australiani, solitaria, silenziosa. Allontanandosi sempre più dalla costa sud fino a raggiungere uno dei luoghi imperdibili a 850 chilometri da Adelaide; Coober Pedy. Un’area di quasi 5000 kmq di miniere, ma non sono miniere di oro o di argento, no davvero! Qui siamo nella “capitale mondiale dell’opale”. L’opale, gemma di superlativa bellezza dai riflessi cangianti, in essa è racchiusa la luce dell’intero spettro solare.

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Caratterizzata da misteriose e oscure leggende e suggestivi significati! Sheba, regina d’Etiopia, si racconta che quando si recava in visita a Re Salomone a Gerusalemme ne indossava una particolarmente preziosa. Gli arabi supponevano che gli Opali fossero caduti dal cielo con un fulmine e che per questo potessero proteggere da essi, oltre che conferire l’invisibilità. Alla tribù della regione di Andamooka, nel sud dell’Australia, l’Opale era noto da sempre come “fuoco del deserto” ed era collegato al mito della creazione del mondo. Il loro ancestrale creatore sarebbe disceso sulla terra sopra un grande arcobaleno che trasformava tutte le rocce che toccava in Opali. Comunque, al di là dei seducenti racconti, sono rimasta incantata dall’opale. Ancor di più quando ho visitato il museo, per aver appreso i metodi dell’estrazione e il duro lavoro dei minatori. Ma non è solo l’opale a rendere famoso questo luogo, in verità Cooper Pedy stupisce anche perchè è una città sotterranea.

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I suoi quasi 3000 abitanti vivono underground. La città fu fondata in funzione dell’estrazioni minerarie. Tutto iniziò nel 1915 quando due cercatori pensarono di poter trovare oro ma invece si imbatterono in filoni di opale. ll villaggio venne chiamato con il termine aborigeno “kupa-piti”, che vuol dire “pozzo dell’uomo bianco”. Le temperature proibitive della zona e l’impossibilità di sottrarsi alla feroce calura fecero il resto. Case, hotel, chiese, musei, negozi, bar e ristoranti hanno lasciato il chiarore del giorno e si sono rifugiati nella frescura della terra. I “dug-outs”, così sono chiamati i rifugi ricavati nelle viscere delle montagne non sono certo dimore cavernicole, ma eleganti e fresche costruzioni. Solitamente con l’ingresso a livello della strada e con estensione orizzontale nei meandri delle colline.

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Quando si arriva a Coober Pedy, quasi sempre con la luce del tardo pomeriggio si è affascinati e nel contempo sconcertati. Poche le costruzioni visibili ma tanti cumuli di terra che coprono l’intera zona. Un quadro dipinto dal lavoro dell’uomo. Una tavolozza di colori pastello, dal giallo all’arancio, ovviamente tutto è recintato e sorvegliato. Ad ogni cumulo di terra corrisponde un pozzo estrattivo, profondo e potenzialmente pericoloso. Molti i cartelli infatti di avvertimento per allontanare incauti e curiosi visitatori che vogliono giocare ai minatori. Si può approfittare a questo proposito, delle interessanti visite guidate, per conoscere l’originale morfologia del territorio con le sue tipiche minier, e la dura vita di chi ci lavora. Dal giorno della prima scoperta attratti dal sogno di ricchezza sono arrivati in città migranti provenienti da ogni dove.

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Una composizione di etnie, tante quanti sono i colori dell’opale!! Ho imparato viaggiando che ogni località, ogni ambiente ti concede delle emozioni che prescindono dalle sue bellezze naturali o architettoniche. E Coober Pedy, nella sua asprezza, non si sottrae. Pensi di essere in un paesaggio lunare dove su tutto regna il silenzio. Sotto quel cielo privo di nuvole, l’ora del tramonto ti avvolge con un abbraccio di vento caldo, si respira la complicità degli elementi che hanno deciso di incantarti.

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E poi la notte! Dormire in una camera scavata nella terra è un’esperienza. Prima di ritirarsi in uno di quegli hotel rupestri che ti faranno vivere momenti belli, uno sguardo va alla luna che di cose, qui, ne ha molte da raccontare!  Clelia Nocchi

Segui il viaggio su  https://www.youposition.it/mappaviaggio.aspx?id=6619

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