
Durante la guerra civile spagnola, nell’Aprile del 1937 il bombardamento della città basca di Guernica fu condannato unanimemente dalla politica e da tutta la società civile occidentale. Il tragico evento diventò famoso anche per mano del maestro Pablo Picasso, il quale immortalò su una grande tela l’orrore della distruzione e il quadro diventò il simbolo nel mondo della condanna della guerra..
Nell’estate di quel maledetto anno a circa 400 km in una delle zone più aride dell’Aragona la piccola cittadina di Belchite subì la stessa sorte, ma senza salire alle luci della ribalta. Teatro di una delle più sanguinose e violente battaglie della guerra civile spagnola, come racconta Ernest Hemingway, che fu testimone del conflitto tra i nazionalisti di Franco e i repubblicani.

In appena due settimane la città fu devastata e 5000 persone furono massacrate da ambo le parti. D’allora quella pagina di storia con l’immagine delle macerie è rimasta aperta per volere del dittatore Franco che pose il veto alla sua ricostruzione. “El Caudillo” volle che le gloriose rovine di Belchite rimanessero intatte “Come un mucchio di rovine che il marxismo ha seminato come traccia inequivocabile del suo fugace passaggio “.

Un gruppo di prigionieri e di abitanti sopravvissuti edificarono un nuovo nucleo non lontano dai resti della città che fu inaugurato nel 1954. Belchite vecchia “El Viejo pueblo” è diventata ora una ghost town visitabile con una guida.

Ma di certo non è una meta che fa bella mostra di sè nei cataloghi patinati delle agenzie di viaggio. Solo alcuni viaggiatori, quelli più appassionati di conoscenza si mischiano tra i gruppi di spagnoli che non mancano seppur dolorosamente di visitarla. I muri sgretolati e crivellati da proiettili, i tetti sfondati, la chiese sventrate dai bombardamenti dove si legge la bellezza di un tempo urlano dolore, e continueranno a farlo ma non da una tela d’autore questa volta ma nella memoria e nel cuore di chi l’ha vista.
Clelia Nocchi
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