
Fra Trapani e Marsala c’è un angolo di terra di grande interesse naturalistico paesaggistico ma anche storico culturale; è la via del sale. Trenta chilometri tra profumi e bianche distese di sale. Furono i Fenici a impiantare le prime saline e ad esportarlo nei paesi del Mediterraneo, da allora l’oro bianco ha segnato con alti e bassi l’economia della regione. Un paesaggio di surreale bellezza immutato nei secoli diventato oggi un polo turistico grazie anche alla ristrutturazione dei suggestivi mulini considerati veri e propri reperti di archeologia industriale.
L’itinerario inizia con l’affascinante Trapani. Chiamata la città dei due mari, perchè bagnata dal Tirreno e dal Mediterraneo. Si percorre la statale 115 dalla quale è possibile in qualsiasi momento girare verso la costa per ammirarne i tanti interessanti luoghi come il museo del sale In contrada Nubia nel cuore della salina Culcasi allestito in un antico mulino.

Gli attrezzi da lavoro dei salinari sono testimonianze etno antropologiche di enorme valore e ci faranno entrare in mondo sconosciuto. Si prosegue poi verso le isole dello Stagnone con il suo gioiello più prezioso; l’isola di Mozia che è stata l’insediamento fenicio punico più importante del mediterraneo.

Da non perdere la visita guidata alle saline Ettore Infersa per capire le diverse fasi di raccolta e di lavorazione del prezioso prodotto del mare in attesa dell’ora magica del tramonto. Poi, di sicuro non guarderemo più il sale come un semplice esaltatore di sapidità. Marsala chiude l’itinerario con le sue bellezze architettoniche donando al visitatore la sua storia e i suoi sapori.

Tappa obbligata al museo archeologico “Baglio Anselmi” allestito in ex stabilimento vinicolo custodisce pregevoli reperti che vanno dalla preistoria al medioevo . Fra tutti spiccano i resti di una antica nave da guerra cartaginese di 2240 anni. Si può concludere, volendo, con uno sguardo sul mare sorseggiando un buon bicchiere del suo vino più famoso e la carezza del vento siciliano.
“Sulo cu nasci ‘n mezzo u sale canusce l’amaro”. Alberto Culcasi