Namibia – Botswana – Zimbabwe dal 1 giugno al 13 giugno 2015
Diario di viaggio
Ore 5.20 del 1 giugno, il volo della Air Namibia atterra puntuale a Windhoek. All’uscita dall’aeroporto Husea Kutako ad accoglierci un’alba da cartolina, un cielo blu terso e l’aria pungente dell’inverno australe che a quest’ora del mattino il sole non ha ancora riscaldato. Per quasi tutti i componenti del gruppo è la prima volta in questo paese, paese che ancora più di ogni altro rappresenta il “sogno africano”, immense pianure ricche di fauna selvatica , infiniti spazi che ci regalano l’idea di libertà. Il nostro di sogno africano inizia con Dario Basile sotto il segno di Colori di sabbia.
La capitale namibiana è senz’altro il punto logisticamente più favorevole , per chi, come noi, ha come meta i grandi parchi del Botswana settentrionale. La mattinata trascorre con i preparativi di routine. Ultimato il ritiro delle nostre Toyota 4×4 equipaggiate con air camping e aver caricato rifornimenti alimentari per i campi nei parchi, il tempo che ci rimane lo spendiamo per un giro in città con ancora scorci del suo passato coloniale e una fugace occhiatina ai negozi di artigianato.
Raggiungiamo nel pomeriggio il lodge dove passeremo la notte , un freddo insolito ci costringe a tapparci in camera in attesa della cena. Il mattino successivo, dopo una deliziosa colazione e due chiacchiere con la gentile proprietaria di origine francese siamo pronti per affrontare la prima giornata di trasferimento che ci porterà già in Botswana, arriveremo a Ghanzi, via Gobabis. Imbocchiamo la strada B6 in direzione est, il manto stradale in buone condizioni e l’assenza di altri autoveicoli permettono ai nostri driver, di avere una buona andatura , ligi comunque ai limiti di velocità, s’intende!
E in attesa di mettere le ruote sulle avventurose e sabbiose piste africane ci godiamo il serpente d’asfalto che scivola via verso l’antica terra degli Tswana, in una stupenda giornata di sole. Consigliati dal sapiente Dario, che dall’alto della sua esperienza dice che “ogni frontiera ,una sorpresa” decidiamo di pranzare, prima di arrivare a Buitepos dove sbrigheremo le formalità d’ingresso.
La sorpresa stavolta è piacevole, in poco meno di 45 minuti abbiamo il nostro visto, che qui è anche free. Si paga solo circa 20 euro per ogni macchina. Adeguiamo i nostri orologi all’ora locale, un’ora avanti, e proseguiamo verso la nostra metà, siamo in perfetto orario sulla tabella di marcia e per cui , deciso all’unanimità, prevediamo una sosta per goderci il tramonto, il nostro primo tramonto in Botswana! Potremmo mai perdercelo?!
Lo spettacolo supera le nostre aspettative i tramonti africani sono sempre unici!! e accompagnati dall’ultima fievole luce serale, imbocchiamo il chilometro di pista sterrata che ci porterà al lodge per il pernottamento. Il nostro contakilometri segna più 500 . Sono circa le otto e trenta del mattino del 3 giugno quando lasciamo l’hotel ed attraversiamo il polveroso villaggio di Ghanzi, non privo di fascino, il cui nome in lingua San indica uno strumento monocorda ricavato da una zucca.
Snodo nevralgico del Botswana occidentale, nonostante la sua isolata posizione in un posto così inospitale, riveste il ruolo di capoluogo amministrativo del distretto di Kalahari. Seguiamo la stessa strada in direzione nord-est, oggi il nostro obbiettivo è Maun, una tappa non troppo impegnativa , calcoliamo il nostro arrivo intorno l’ora di pranzo.
Dopo pochi km dall’uscita della città , da quello che a prima vista sembra un casello autostradale veniamo fermati da funzionari governativi per una ispezione agli autoveicoli, per verificare, così gentilmente ci dicono, se a bordo abbiamo carne o animali. Il controllo è veloce. Facciamo così la conoscenza dei cosiddetti VET CECKING POINT che vigilano sul trasporto illegale di carne cruda o bestiame. Questi furono istituiti nel 1954 a seguito di una epidemia di afta epizootica che colpì i numerosi allevamenti di bovini. A quei tempi gli interessi economici intorno agli allevamenti erano molto forti e gli allevatori avevano un grosso peso politico.
Il governo fece erigere delle recinzioni di filo di acciaio alte un metro e mezzo per dividere gli animali domestici da quelli selvatici convinti come erano che fossero quest’ultimi veicolo dell’epidemia, cosa che poi non venne di fatto mai accertata. Il Veterenary Cordon Fence più noto come VET FENCE fece enormi danni , gli animali morirono a centinaia , basti dire che la popolazione degli gnu, trovandosi sbarrata la via durante le loro migrazioni si ridusse del 99%. La situazione è migliorata da quando il turismo è diventata una importante risorsa sulla bilancia economica del paese, e importanti investimenti sono stati fatti in tutela della fauna e del habitat. Il Botswana che deve la sua fortuna ai preziosi giacimenti di diamanti ha capito che questi si esauriranno nei prossimi decenni e che forse i veri gioielli sono proprio gli animali. Arriviamo in tarda mattinata, dopo circa 270 km come previsto a Maun, ovvero “luogo dalle canne corte” forse detto così per la sua posizione lungo il fiume Thamalakane .
Ma la poesia del nome stride con il caotico traffico delle sue vie, terza città del paese dalla storia antica, è cresciuta frettolosamente e disordinatamente intorno a un turismo in forte aumento. Porta di ingresso per il Delta dell’Okavango, la presenza dell’ ufficio DWNP (Department of National Parks and Wildlife) che rilascia i permessi per la maggior parte dei parchi, ne fa una tappa obbligata. Con i permessi in tasca e dopo essere riusciti a cambiare i nostri euro in pula presso la banca locale, bighelloniamo per le vie infilandoci qua è la in qualche negozietto, in attesa del nostro appuntamento all’aeroporto dove abbiamo prenotato due Cessna per l’esplorazione aerea del Delta. Alle ore 17 incontriamo i nostri piloti che ci invitano a salire a bordo per portarci in quella che a detta di tutti è una esperienza da non perdere. Se si pensa che la maggior parte del paese è stretto nella morsa della siccità, quello che scorre sotto ai nostri occhi ha dell’incredibile!!.In questo angolo la natura ha compiuto uno dei suoi miracoli, il 95% dell’acqua del Botswana è racchiusa in questa landa lucente . 16.000 kmq di canali sinuosi, stagni, isole, lagune, vegetazione lussureggiante, un vero paradiso per mammiferi e uccelli, che qui vivono in grande quantità. Un suggestivo volo di 50 minuti ci permette di catturare tutto l’incanto della zona umida più grande e affascinante del pianeta.
E mentre la luce del giorno si colora di tramonto e i riflessi si tuffano nell’immobilità delle acque scattiamo a malincuore le ultime fotografie prima dell’atterraggio . Con L’arrivo in serata nel confortevole lodge ai bordi del Okavango river chiudiamo l’emozionante giornata . Il mattino seguente lo dedichiamo ancora alla scoperta del delta, questa volta però da una diversa prospettiva. A bordo fiume ci attendono i mokoro, anzi per la precisione al plurale i mekoro, le caratteristiche imbarcazioni usate dai locali per il trasporto di merci e persone. Queste canoe a basso pescaggio, spinte solo dalla forza del barcaiolo, detto “pola”, attraverso una pertica, un tempo erano costruite scavando i tronchi di Kigelia il famoso albero delle salcicce o anche di ebano, ora sono fatte con materiali moderni, ma rimangono comunque i mezzi ideali per muoversi in questo ambiente difficile. A due a due prendiamo posto nelle piccole imbarcazioni, il livello dell’acqua sfiora il bordo dandoci la sensazione di immergersi. Procediamo lentamente in un giardino di ninfee che con i loro splendidi fiori ci offrono uno scenario superbo . Da una canoa all’altra ci scambiamo qualche battuta sulla presenza di eventuali coccodrilli, che pare qui vivano numerosi. Il barcaiolo che ha capito il nostro timore ci sorride rassicurante. Al termine del percorso non sappiamo se essere delusi o contenti di non averne visto nessuno nei paraggi. Ma siamo sicuri che non ci mancherà occasione di incontrarli! Ritorniamo al lodge, in tempo per assistere al tramonto e prepararci per la cena, anzi imbacuccarci per la cena, è freddo, l’inverno africano quest’anno morde. All’indomani, puntuali all’appuntamento mattutino, carichiamo i bagagli alla volta della Moremi Game Reserve.
Lasciamo quindi Maun e proseguiamo in direzione nord-est verso Mogogelo. Meno di 100 km ci separano da uno dei più famosi parchi del paese, che con i suoi 4871 Kmq , ricopre circa il 30% del territorio. Creato nel 1963 a protezione dell’incredibile patrimonio faunistico del Delta dalla caccia indiscriminata, porta il nome del capo Ba Tawana, Moremi III. Il tratto stradale asfaltato nei pressi di Shorobe cede il passo a una bella pista sterrata, che ci conduce all’ ingresso dell’area protetta. La struttura, a cavallo della pista, che caratterizza ogni gate, è formata dalla tipica architettura con tetto di paglia , dove si trova l’ufficio del ranger che ha il compito di controllare tutte le vetture in transito. Parliamo d’ingresso per modo dire, la zona è priva di recinzioni, per cui la fauna è libera di muoversi liberamente . Infatti durante il percorso abbiamo visto facoceri, e bellissime giraffe.
Quello che noi siamo soliti denominare “parco” è un area lasciata allo stato selvatico , dove gli ancestrali ritmi della natura si rinnovano ogni giorno, dove gli animali possono trovare le condizioni ideali per la loro sopravvivenza e dove controlli antibracconaggio li proteggono dai cacciatori. Per questo è tanto importante, come recita ogni guida mantenere atteggiamenti che non interferiscono con il loro modus vivendi . Viaggiare da queste parti è entrare a far parte di un mondo , il loro mondo. Per cui presa visione delle regole e informazioni sulle condizioni delle piste oltrepassiamo l’entrata pronti per dare inizio al nostro safari. Imbocchiamo il tracciato principale, Dario a già dato direttive precise su come procedere su queste piste che insidiose come sono, per la presenza di depositi di sabbia profonda possono mettere a dura prova mezzi e capacità di guida.
Mentre i nostri driver sono concentrati su come affrontare dossi e tratti molli noi siamo impegnati con i nostri cannocchiali a catturare ogni piccolo movimento che tradisca la presenza di un qualsiasi animale. Stiamo seguendo la direzione per Khwai campsite dove passeremo la notte. Gli alberi di mopane che affiancano il percorso, cibo principale degli elefanti ci preannunciamo l’eventualità di un avvistamento. Non finiamo di pensarlo che un intera famigliola si concretizza alla nostra destra. Essendo vicinissimi alla pista ci teniamo a distanza di sicurezza facendo attenzione a non produrre nessun rumore. Gli animali in genere non sono spaventati degli autoveicoli se non rappresentano un pericolo, ma non lo sarebbero degli occupanti. Infatti è vietatissimo scendere. Proseguendo verso la nostra meta gli avvistamenti si susseguono, imbocchiamo la pista per l’ippopool la piscina degli ippopotami ma le condizioni della pista diventano proibitive, anche se siamo all’inizio della stagione secca le abbondanti piogge dei mesi scorsi hanno lasciato il segno, meglio rinunciare. Arriviamo al campo nel pomeriggio, avendo tutto il tempo necessario per l’allestimento prima che venga buio.
Ma un gruppo di ippopotami intenti nel loro bagnetto ci catturano.. sembrano innocui ma è meglio tenerci a debita distanza. Il buio e lo spegnersi del fuoco ci dicono che è ora di andare a dormire. Alcuni di noi stentano a prendere sonno le emozioni della giornata sono state tante e ci accompagnano alle prime luci dell’alba. La sveglia al campo è solitamente presto . Dopo aver fatto il programma della giornata, ci mettiamo in marcia. Ognuno di noi ha la speranza di vedere un animale in particolare, chi l’ippopotamo, chi il Leopardo o il leone. Vedremo cosa ci riserva il nuovo dì. La nostra tappa oggi è il Savuti campsite. Obbiettivi montati e cannocchiali a portata di mano procediamo a bassa velocità, l’ambiente unico e selvaggio che ci circonda ci ripaga ampiamente dell’asperità della pista. Un enorme baobab ci invita a una sosta fotografica. La boscaglia diradandosi a dato spazio alla savana, impala, zebre, giraffe, gnu, kudu, bufali e elefanti ormai li abbiamo immortalati in mille click, siamo a caccia di leoni e leoni finalmente troviamo. Acquattate nei pressi di una pozza d’acqua, due leonesse con relativi cucciolotti si godono il caldo mezzogiorno. In lontananza nascosto da un cespuglio sua maestà il re della foresta un grosso leone maschio vigila in lontananza. Siamo Letteralmente ammutoliti di fronte a tanto spettacolo. Come se non bastasse in scena arriva un ignaro facocero che con fare circospetto sta per avvicinarsi all’acqua. Intanto i felini hanno assunto la posizione di attacco. Osserviamo il tutto, impotenti. per chi fare il tifo? La natura farà il suo corso? ma la futura preda ha deciso di cambiare l’inevitabile finale e di rimandarlo alla prossima puntata di quark, si blocca , ha percepito il pericolo e frettolosamente torna indietro. Respiro di sollievo. Un’emozione così, di sicuro non rimarrà impressa solo nelle nostre digitali. Raggiungiamo il campsite intorno alle 15, come da programma. Fissiamo il punto sul GPS e decidiamo di proseguire il tour.
Le ore che precedono il calar del sole come quelle del mattino presto sono le migliori per l’osservazione della fauna. La pista che abbiamo deciso di percorrere, comincia però a diventare impraticabile a causa di tratti fangosi, costringendoci a frequenti deviazioni. Ma prima di cambiare itinerario diamo un’occhiata in giro. Un colpo di incredibile fortuna ! . Ore 18.15 i nostri cannocchiali inquadrano l’agile figura di un grosso leopardo che sta arrampicandosi su un albero. Le nostre macchine fotografiche ne fissano l’immagine in controluce. Lo schivo e solitario leopardo è uno dei mitici big five, i grandi 5 insieme ad elefante ,rinoceronte nero, leone e bufalo. Questa espressione nacque tra i cacciatori di animali di grossa taglia, per indicare quelli più difficili da abbattere. Felici e consapevoli di essere stati spettatori di un evento fortunoso e non comune decidiamo che ora possiamo ritornare al campo . Di solito i dopocena finiscono intorno ad un bel fuoco,, scambiandoci racconti, aneddoti, avventure e disavventure, che hanno popolato i viaggi di ognuno di noi .Di sicuro comunque il prossimo viaggio che faremo ne avremo da raccontare ! Un rumore improvviso tra gli alberi, sappiamo bene chi è, da queste parti gira un grosso pachiderma che è solito far visita al campo, rimane un bel po’ a mangiare coperto dal buio e dalla folta vegetazione, sembra prendere tempo prima della comparsa in scena ma , facciamo appena in tempo a toglierci di torno, che lui, con tutta tranquillità, come se non ci fossimo, attraversa la nostra piazzola, si ferma , guarda intorno e poi prosegue nella sua passeggiata serale. Un incontro così stupefacente non ce lo aspettavamo proprio ! Dario ci fa notare che era scritto sul programma e che sicuramente ci è sfuggito. Anche stasera abbiamo avuto il nostro ospite di riguardo! E che ospite! È l’alba del …maggio , mentre i buceri dal becco giallo girano intorno alla ricerca di qualche briciola, facciamo colazione e commentiamo l’evento sorprendente della sera prima . Dario ci illustra il programma del giorno. Andremo In direzione nord verso il Parco Nazionale del Chobe, che prende il nome dall’omonimo fiume che nasce in Angola.
Con una superficie di 10698 km è la terza riserva protetta del Botswana e anche la più recente, fu infatti istituita nel 1961. Gli ambienti contrastanti e l’abbondanza di acqua ne fanno una della zone più affascinanti e frequentate dalla fauna, eccetto il rinoceronte qui si possono incontrare praticamente tutti i mammiferi dell’africa meridionale e vanta la più numerosa presenza di elefanti e una infinità di uccelli. Il Chobe river front è uno spettacolare percorso ma percorribile solo in questa stagione altrimenti il tracciato argilloso sarebbe impraticabile. Riusciamo a scattare qualche bella immagine, i soggetti sono numerosi dai coccodrilli agli ippopotami, agli elefanti intenti al bagnetto pomeridiano alle belle aquile pescatrici. Attraversiamo il sonnolento villaggio di kacikau e e ne approfittiamo per una sosta. La pista dissestata ci ha sottoposto a continue vibrazioni e il carico viveri non ne è uscito proprio indenne. Raggiungiamo il campeggio dove pernotteremo, la sua posizione ne fa uno dei più suggestivi del paese. Le piazzole a poche decine di metri dalle sponde del fiume offrono privilegiati punti di affaccio e tramonti mozzafiato. Una buona cena calda, il fuoco le chiacchiere, concludono giornata. In sottofondo le voci degli abitanti della boscaglia , che ci dicono che la lotta per la sopravvivenza non si ferma con la notte. il mattino ci alziamo tutti prestissimo intenti a sfruttare al massimo le ore che ci rimangono prime di uscire dal parco, abbiamo i permessi fino alle ore 11. Ultime foto, ultime immagini e ci dirigiamo verso Kasane, che dista meno di 200 km. I dintorni di Kasane sono ricchi di alberi Water-berry ovvero “masane” dal termine Subiya, da qui appunto il nome della città. Il villaggio ha già un destino annunciato. Troppo vicino al Delta e alle cascate Vittoria! La piacevole atmosfera non rimarrà a lungo immutata, in futuro lascerà il posto a una nuova Maun.
Cogliamo l’occasione di riempire i serbatoi delle auto, e ci dirigiamo al nostro lodge per la notte. Si sta avvicinando la chiusura del viaggio, il penultimo giorno prevede il trasferimento verso lo Zimbawe. Solite formalità , visti di uscita, visti di entrata. Controlli alle auto , il tutto ci porta via più del tempo previsto, e ci ritorna il detto coniato da Dario. Ma la giornata è bella, la temperatura piacevole e noi ci mettiamo tutta la pazienza dei più consumati viaggiatori. Finalmente le nostre car toccano il suolo della ex Rhodesia alla scoperta dell’elemento geografico più spettacolare del paese. Le cascate Vittoria. Il piccolo centro nato intorno alle cascate offre una miriade di attività, dal volo in elicottero al rafting alla discesa in canoa. Molti sono anche i negozi di souvenir con belle cose d’artigianato, dove spendiamo gli ultimi soldi locali. Il lodge che Dario ha scelto per il finale del tour è molto piacevole. La mattina dell’ultimo giorno si apre con colazione in terrazza, il rombo sordo delle acque che si gettano nello Zambesi river ci preannuncia lo spettacolo. Stiamo per vedere una delle sette meraviglie del mondo.
Coperti da colorati impermeabili presi a noleggio all’entrata, ci incamminiamo per il percorso di quasi 2 km che costeggia il fronte delle Victoria falls. Con un salto di 100 metri, il fiume si tuffa fragorosamente in un gola originata dalla frattura geologica chiamata Rift Valley, creando colonne d’acqua nebulizzata che danno vita a stupendi arcobaleni e ad una lussureggiante vegetazione. La meraviglia che ci coglie davanti all’imponente scenario, deve essere quella che provò il missionario esploratore inglese David Livingstone e gli uomini della sua spedizione, quando il 16 novembre 1855 scoprì le cascate. Il Mosi–Oa-Tunja “Il fumo che tuona” venne descritto da lui come il luogo creato dagli angeli. E anche se tra tutti i colonizzatori rimane il più amato ,per il suo impegno contro la tratta degli schiavi, anche lui non si sottrasse alla cattiva abitudine dei colleghi dell’epoca, di cambiare i nomi delle terre espropriate per cancellare ogni segno che richiamasse l’antica cultura. La scoperta venne intitolata alla regina Vittoria.
Usciamo dalla visita entusiasti e bagnati come pulcini, ma il caldo sole del pomeriggio risolve di lì a poco il problema. Abbiamo già preparato i bagagli, un passaggio veloce in hotel per cambiarci e dopo aver espletato le pratiche del drop-off, i nostri driver riconsegnano le auto. Non ci resta che prendere a malincuore il volo di rientro. Siamo stati ospiti di un paese che ci ha saputo sorprendere e affascinare. Intense le emozioni che portiamo a casa. Ma è meglio non venire da queste parti si rischia di essere contagiati da quella malattia inguaribile che si chiama “Mal d’Africa”. Clelia Nocchi