“Quando ho varcato la porta camminando verso il cancello che mi avrebbe portato alla libertà, sapevo che se non avessi dietro di me lasciato l’amarezza e l’odio, sarei rimasto ancora in prigione.” Questa frase l’ha pronunciata colui che dietro a quel cancello passò ben 18 dei 27 anni di prigionia, Nelson Mandela.
Aveva solo trentanni Rolihlahla, “colui che crea problemi”, così lo chiamava la sua maestra di scuola, quando i governi sudafricani fecero diventare legge dello stato “l’apartheid, “la separazione tra cittadini dello stesso paese, una divisione attuata per il solo colore della pelle. La Segregazione razziale di concezione nazista in vigore per circa mezzo secolo, fu imposta dall’etnia minoritaria dei bianchi verso i neri, i meticci e gli indiani che subirono discriminazioni e umilianti proibizioni. Prima di essere eletto nel 1994 come presidente del Sudafrica, Mandela fu imprigionato con l’accusa di sabotaggio nel 1962 nella prigione di Robben Island.
Un isolotto a soli 11 km da Capetown, già luogo di detenzione dal 1600. I coloni olandesi vi spedivano schiavi, detenuti, indigeni Khoikhoi che osteggiavano la colonizzazione. Divenne poi un lebbrosario nel 1846 e il suo famigerato curriculum prosegue diventando un carcere di massima sicurezza dal 1962 al 1991. Oggi è un museo, diventato tale nel 1997 dopo tre anni dalla fine dell’apartheid. Visitando il Sudafrica, Robben Island è una tappa che solitamente non manca nel tour del paese, ma come tutti i luoghi che parlano di sofferenza è necessario essere consapevoli che sarà un bel pugno nello stomaco. Gli ex prigionieri ne percorrono ancora i bui corridoi, accompagnando ora come guide i numerosi gruppi di visitatori.
Chi meglio di loro può descrivere i patimenti, le interminabili notti umide dietro quelle maledette grate e gli allucinanti giorni passati sotto il sole impietoso nella cava di pietra. Per tredici anni Mandela spaccò sassi con i suoi compagni in quella pietraia. Brillava sotto la luce solare di una luce accecante mista a polvere e gli occhi di Mandela, come degli altri sventurati, senza protezione alcuna si ammalarono di cheratite detta anche cecità da neve. Una patologia oculare molto dolorosa. Con tutto quello che subì nei suoi anni di impegno politico riuscì a non far nascere mai in lui il seme dell’odio. Dalla sua cella, come la descrive lui stesso nella sua opera autobiografica “Long Walk to Freedom”. Tanto piccola che quando si sdraiava con la testa e i piedi toccava le pareti. Insegnò i suoi principi di pace ai suoi compagni di prigionia. Durante la visita quando i detenuti descrivono i trattamenti e le condizioni nelle anguste stanzette capita spesso sentirli sottolineare che la loro vera libertà la devono al loro leader perchè hanno spezzato le catene di vendetta e di risentimento.
Lavorò a lungo e tenacemente dopo il suo rilascio a vantaggio di un procedimento di riconciliazione, tanto che nel 1995, agevolò la nascita di una “Commissione per la verità e la riconciliazione” al fine di chiarire gli eventi dell’apartheid e traghettare il paese verso un nuovo inizio abbandonando l’ingombrante fardello. A lui gli sono state intitolate vie, piazze. Una giornata della memoria il 18 luglio, statue e addirittura una rara specie di ragno. Nelson Mandela, uomo dalle doti non ordinarie è stato consegnato alla storia come uno dei più importanti leader del Sudafrica nonchè uno tra i più grandi statisti del mondo. Una vita offerta alla lotta per il riconoscimento dei diritti umani, una lotta fatta pacificamente che gli è valso nel 1993 il premio Nobel per la Pace. Clelia Nocchi
Robben Island Museum
Tel.: +27 (0)21 409 5169
Fax: +27 (0)21 4111 059
email infow@robben-island.org.za